La ragazza dello Sputnik | Murakami
- Cecilia Costa
- 10 ago 2021
- Tempo di lettura: 3 min
“Per ognuno, ci sono esperienze particolari che è possibile avere soltanto in periodi particolari. Assomigliano a una piccola fiamma. Protetta con cura da persone attente e fortunate, alimentata, portata in alto come una torcia, può anche vivere a lungo. Però, una volta spenta, quella fiamma non tornerà più.”
Mi ci sono voluti quasi due mesi per portare a termine la lettura de “La ragazza dello Sputnik” di Murakami, e voi penserete sicuramente che sia stata una lettura lenta e difficile, di quelle che si trascinano e si portano a termine giusto per correttezza nei confronti dei soldi spesi. Beh, sono sincera se vi dico che non è stato così: ci ho messo tanto ma nel complesso ne è valsa la pena.
La ragazza dello Sputnik è la mia seconda chance a Murakami, autore che mi aveva allontanata con “Norvegian Wood”, ancora quasi intonso sullo scaffale della libreria.
Ho apprezzato molto lo stile snello con cui Murakami delinea i suoi personaggi e i luoghi in cui le vicende si svolgono, impregnandoli di particolari vividi e di altri spazi non detti, lasciati liberi all’interpretazione del lettore che vi ricama sopra una sua personale visione della storia. Il carattere misterioso e quasi onirico è la chiave che tiene in vita tutto il romanzo, e in un certo senso anche l’unico vero scoglio contro cui picchiarsi.
Mi è piaciuto? Direi di sì.
L’ho capito? Forse non del tutto, tanto che ho dato una sbirciata qua e là per togliermi qualche dubbio rimasto irrisolto soprattutto nell’ultimo terzo del racconto.
È proprio questa mia ricerca di spiegazioni che mi ha portata a comprendere che il punto centrale dell’intero romanzo è il dubbio, il limite incerto tra sogno, realtà e fantasia, proprio della vita di ciascuno.
E più vi addentrerete nella storia più questo confine si farà sfumato rendendo molto difficile stabilire i contorni della storia reale da quelli della percezione immaginata della stessa.
I personaggi che prima ricoprivano ruoli precisi cominciano ad abbozzarsi lasciando più spazio all’aspetto emotivo e psicologico piuttosto che alla linearità degli eventi.
Non è un caso che il nostro narratore, spesso in prima persona, rimanga del tutto anonimo: non è importante chi lui sia, quel che conta è cosa ha visto, sentito e raccontato. Lui è solo una pedina nelle mani di un autore che nel far interagire i suoi personaggi parla a una dimensione più profonda che va oltre.
I grandi protagonisti di questa storia sono gli incastri e gli intrighi che hanno portato a mettere a posto l’ultimo tassello senza imporre un finale certo e chiuso, ma consegnando anche questo alla sensibilità del lettore.
Anche i personaggi fisici mi hanno trasmesso l’idea di una messa in scena, in un certo senso interpretano una parte vestendo i panni di un carattere umano ben definito.
Sumire sogna di fare la scrittrice, ma non ha ancora trovato la scintilla giusta che la porti a iniziare e concludere un manoscritto. Le manca l’esperienza che le tolga il respiro e la faccia tentennare, e quando la trova in Myu ne rimane fregata perché la versione reale della donna amata è terribilmente diversa da quella sognata ad occhi aperti.
Myu, dal canto suo, veste alla perfezione il fascino e lo charme che la rendono così magnetica, ma sotto il suo bell’apparire è una sorta di fantasma: vuoto, freddo e incolore. Incapace di provare emozioni e di legarsi alle persone, respinge involontariamente i legami.
Infine il nostro narratore senza nome, l’innamorato, colui che solca l’oceano per amore e continua a coltivare sempre la speranza di un rincontro.
In conclusione, forse non è un libro che ho divorato in quattro e quattr’otto, ed è pure riuscito a disturbarmi un po’, ma in fin dei conti è stata una lettura piacevole che ha promosso positivamente al mio giudizio Haruki Murakami.

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