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Non fa niente | Margherita Oggero

  • Immagine del redattore: Cecilia Costa
    Cecilia Costa
  • 9 mag 2021
  • Tempo di lettura: 2 min
“Poi mi ha spiegato che le parole bisogna cercarle e stanarle, perché anche quelle non dette ma solo pensate, anzi soprattutto quelle, ci aiutano a capire e a capirci.”

Nicevò. Non fa niente.

Ricordo la lettura di questo libro con un sorriso e anche oggi, mentre lo risfogliavo per cogliere qualche nota da aggiungere, non ho potuto fare a meno che immergermi nella storia e lasciarmi trasportare.

Non fa niente di Margherita Oggero è un viaggio nel tempo e nello spazio, attraverso le sue protagoniste, che incastra il vivere dell’Italia dal secondo dopoguerra in poi alle memorie di una Berlino in pieno periodo nazista. Una storia anticonvenzionale per il contesto in cui si va a inserire, ma che lascia spunti di riflessioni per approcciarsi anche al nostro presente.

In una casa della ricca borghesia torinese facciamo la prima conoscenza di Esther e Rosanna accumunate da un patto segreto che le legherà come mai successo prima. Un figlio in comune frutto del desiderio di una e del corpo dell’altra. Una versione moderna della storia di Abramo, Sara e Agar, o se siete più avvezzi, una situazione al “Racconto dell’Ancella”. Due donne diversissime nel carattere e nel vissuto.


Tuttavia, c’è un fattore in più che distingue questa storia dalle altre, ed è l’amore: quello materno di Rosanna nei confronti del bambino, quello riconoscente dell’Ingegnere verso la ragazza, e quello quasi fraterno che unirà per tutta la vita le due donne che impareranno a conoscersi, supportarsi e a trovarsi anche quando le cose sembrano precipitare.


Il rapporto che si instaura tra Esther e Rosanna, via via che il lettore si avventura nella narrazione, si fa più profondo, intenso, quasi in bilico sul confine tra sorellanza e romanticismo. Questo aspetto di ambiguità alimenta il ritmo di lettura, poiché il lettore è spinto a cercare di andare avanti il più possibile.


Uno dei temi che emerge dalla narrazione è proprio quello della maternità surrogata e del ruolo che la madre biologica ricopre nelle dinamiche familiari, un ruolo che va oltre la mera “incubazione” e che si fa attivo e partecipe via via che il racconto procede.

Con capitoli brevi e uno stile semplice e scorrevole, intervallato dal dialetto piemontese e da frasi in duro tedesco, Margherita Oggero descrive con cura gli ambienti che fanno da cornice alle sue protagoniste che, pagina dopo pagina, diventano sempre più personaggi tridimensionali e nel bene e nel male portano il lettore ad affezionarvisi.


È una lettura che consiglierei, pur essendo l’unico romanzo della Oggero che ho letto mi ha lasciato qualcosa stupendomi e appassionandomi per la sua originalità.


Ultima nota positiva è la scelta della copertina che attira l’occhio e, almeno nel mio caso, in buona parte ha incuriosito alla lettura.




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