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  • Immagine del redattoreCecilia Costa

Middlesex | Jeffrey Eugenides


“Tutto a Middlesex parlava del desiderio di dimenticare e tutto in Desdemona testimoniava dell’ineluttabilità del ricordare”

Comincio con uno dei passi che più mi hanno fatto riflettere e mi sono rimasti dopo aver terminato Middlesex di Jeffrey Eugenides.


Queste parole sono un filo conduttore per l’intero romanzo: la storia della famiglia Stephanides fa incontrare e scontrare spesso il bisogno di far vivere la memoria del passato con il desiderio di andare oltre agli eventi per costruire un nuovo futuro.


Se dovessi descrivere Middlesex in una parola sceglierei “altalenante”: non mi ha rapita da subito, e se devo essere sincera non è una lettura che mi ha sconvolta più di tanto, pur rimanendo lo stesso molto godibile.


Un racconto intenso che si muove nel tempo e nello spazio abbracciando temi come la migrazione, perno della prima parte, il razzismo e le differenze sociali della Detroit degli anni ’60, in quella centrale, e la ricerca e l’accettazione di se stessi che coinvolgono l’ultima dando una chiusa al tutto.


L’ho finito qualche tempo fa, ma ho avuto bisogno di pensare a lungo: il libro in sé mi è piaciuto e lo consiglierei, ma forse avevo grandissime aspettative che sono rimaste un po’ deluse.


L’ho iniziato con timore, l’influenza del parere negativo di una mia amica riecheggiava in testa come una zanzara. In più non avendo molto tempo, spesso e volentieri perdevo il filo e facevo fatica a rientrare nella storia.


È un romanzo familiare dove l’intersessualità, carattere di rilievo, è protagonista silenziosa della vita del nostro protagonista Cal, narratore in prima persona, che, grazie alla penna attenta e tagliente di Eugenides, diventa a tutti gli effetti cronista del suo documentario.



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