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  • Immagine del redattoreCecilia Costa

La mattina dopo | Mario Calabresi

Dopo eoni da quando l’ho pubblicata sulla mia pagina Instagram riesco finalmente a trovare il tempo di scrivere due pensieri un po’ più articolati anche per il blog. Anzi, se volete essere sempre aggiornati vi conviene seguirmi lì.


Il Festival di Camogli, in termini letterari, è per me una grande occasione per guardarmi dentro e attorno trovando soluzioni ai problemini che mi trascino dietro.

È così che ho avuto la fortuna di incontrare Mario Calabresi, regalandomi “La mattina dopo” un romanzo che al pari di altri mi ha messo di fronte alla difficoltà di affrontare il mio dolore.

Credere di guarire i mali dell'anima facendo ordine nei cassetti e negli armadi mi sembrava francamente un segno della decadenza del tempo. Poi ho cominciato, senza pensarci, a fare degli elenchi di cose che da troppo tempo erano sospese, accantonate aspettavano di essere sistemate. Così ho cominciato a fare ordine, non tanto negli armadi, ma dentro di me e intorno a me.

La nostra vita è costellata di punti in sospeso, minuscoli particolari pronti a sparire e ricomparire quando meno ce lo aspettiamo. Sono questi a mantenerci in uno stato di limbo tra le cose accadute e la consapevolezza che il mondo può ripartire dalle stesse. Coscienza che arriva solo quando capiamo che la nostra mattina dopo è davvero finita.


La formula narrativa è la solita che identifica molti dei lavori di Calabresi: ogni capitolo è una storia più o meno a sé grazie alla quale l’autore costruisce un intreccio che rende circolare la narrazione.


La fine di un amore, il licenziamento, la pensione, un trasferimento, un incidente, un lutto. Ci sono mattine dopo per ogni genere di esperienza e tutte lasciano l’impronta di un cambiamento: nulla sarà del tutto come prima perché noi non saremo mai gli stessi.


Facendo un parallelismo con un altro grande libro letto quest’anno, Vite che non sono la mia di Emmanuel Carrère, il cambiamento è lo scoglio peggiore da superare quando si tratta di affrontare un dolore di qualche tipo. Ci mette di fronte all’evidenza della mancanza, ci fa schiantare in qualche modo contro la realtà. Allo stesso tempo però ci dà la possibilità di risvegliarci e ripartire con una cognizione diversa.


Calabresi ha la capacità di raccontare il mondo senza troppi fronzoli: caratteristica, forse figlia dell’impronta giornalistica, che non solo rende scorrevole la narrazione ma pone l’accento su parole e periodi che altrimenti sfuggirebbero. Ripercorrendo le radici della sua famiglia, con incontri gioiosi e altri necessari, Calabresi chiude il cerchio ritrovando una nuova versione di sé.


Dolore, speranza, fatica, passione, memoria, presente e futuro. C’è un po’ di tutto nelle parole di questi brevi racconti da cui possiamo prendere ispirazione.


La mia mattina dopo non credo sia ancora del tutto passata, e faccio fatica ad accettare che sia così. Anche io come Mario Calabresi ho pensato che scrivere sarebbe stato il miglior modo per mettere una parola fine, e forse, come lui, spero di trovare una chiusa dove non avrei mai pensato.


Il mio consiglio musicale: Mezz’ora di sole - Blanco




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