|Giovedì Ballerino| La danzatrice stanca di Eugenio Montale
- Cecilia Costa
- 25 feb 2021
- Tempo di lettura: 2 min
LA DANZATRICE STANCA
Torna a fiorir la rosa
che pur dianzi languia…
Dianzi? Vuol dire dapprima, poco fa.
E quando mai può dirsi per stagioni
che s’incastrano l’una nell’altra, amorfe?
Ma si parla della rifioritura
d’una convalescente, di una guancia
meno pallente ove non sia muffito
l’aggettivo, del più vivido accendersi
dell’occhio, anzi del guardo.
È questo il solo fiore che rimane
con qualche merto d’un tuo Dulcamara.
A te bastano i piedi sulla bilancia
per misurare i pochi milligrammi
che i già defunti turni stagionali
non seppero sottrarti. Poi potrai
rimettere le ali non più nubecola
celeste ma terrestre e non è detto
che il cielo se ne accorga. Basta che uno
stupisca che il tuo fiore si rincarna
a meraviglia. Non è di tutti i giorni
in questi nivei défilés di morte.
Eugenio Montale
Sapevate che Montale scrisse a lungo di danza?
Il poesta genovese per eccellenza fece una serie di recensioni di spettacoli danzanti raccolti nel volume "Prime alla scala".
Durante le mie ricerche per rendere la rubrica del Giovedì Ballerino un po’ più aperta al mondo della cultura in generale, mi sono imbattuta ne “La Danzatrice stanca”.
Scritta nel 1969 per Carla Fracci, che per chi non lo sapesse è una delle ballerine classiche più famose di Italia, è un invito al ritorno in scena dopo un periodo di stop dovuto alla gravidanza di lei.
La Fracci e Montale erano amici, si stimavano a vicenda frequentando entrambi gli ambienti del Teatro della Scala di Milano. Questo rapporto di reciproco sostegno è incarnato dalle parole del poeta che eleva la ballerina a uno stadio superiore, la rende il motivo stesso per cui vale la pena danzare, tanto che senza di lei i balletti sembrano perdere senso.
Prendersi una pausa non è mai una decisione presa a cuor leggero. Una pausa, quando lunga e perpetrata nel tempo, può essere un punto di non ritorno.
Chi è sportivo lo sa cosa significhi smettere di allenarsi, perdere la quotidianità del gesto, il calore del riscaldamento, l’elasticità del corpo. Questo in tutti gli sport, riprendere è sempre un trauma.
Forse è proprio il motivo per cui questa poesia mi ha comunicato qualcosa da subito. Quando la lessi la prima volta non vedevo la palestra da mesi, e proprio nel momento in cui sarei potuta finalmente tornare ad allenarmi in presenza ecco una serie di imprevisti. Stop forzato per un lieve infortunio al piede, il certificato agonistico me lo sarei dovuto sudare, mannaggia al Covid, ero demotivata per una serie di esami che dovevo fare e vedevo la sala sempre più annebbiata.
Il solo desiderio di ritornare, anche se non sono minimamente Carla Fracci, ci ha rese simili per qualche verso.

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