L'arte di essere fragili. Leopardi può davvero salvare la vita
- Cecilia Costa
- 14 nov 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Il mio primo incontro con L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita di Alessandro D’Avenia avvenne nello stesso anno della sua uscita, il 2016, senza dirmi un granché. Non lo finii nemmeno.
I motivi erano molteplici: non conoscevo bene Leopardi e non mi sembrava necessario approfondire, non avevo ancora cominciato a scavarmi dentro, e soprattutto ero abbastanza in pace con me stessa da evitare di scuotere le acque per incasinarmi.
A distanza di anni, avendo conosciuto persone che mi hanno indirizzato su una strada a me ignota, come si direbbe tra queste righe, che hanno riconosciuto e rispettato il mio “rapimento”, accompagnandomi con qualche dubbio, mi ritrovo in cerca di me stessa, bisognosa di risposte che Leopardi mi può consegnare alla porta.
Ho deciso di riprendere in mano questo libro e mi si è aperto davanti, facendovi uscita la mia vita. Fa un effetto strano ritrovarsi cucita addosso la penna di qualcun altro.
“L’arte di essere fragili” non è un saggio che contestualizza Leopardi, le sue opere e il pensiero nella nostra epoca moderna. La componente nozionistica c’è, ma si va a confondere con il dialogo amichevole tra l’autore e il poeta stesso.
I veri protagonisti della narrazione siamo noi tutti , chi legge e chi ascolta.
Quattro macro periodi di vita dove D’Avenia incalza e sprona Leopardi a parlargli, a confrontarsi e a suggerire soluzioni per affrontare la nostra avventura sulla terra in modo un po’ più consapevole, con le paure e le gioie del caso.
Si mette a nudo, non è più lo scrittore a parlare, è l’uomo, e questa condizione di vulnerabilità e incertezza fanno sì che anche il lettore si spogli pian piano fino a entrare in intimità con le parole stesse, unico velo a coprire la nostra essenza più profonda.
Per questo motivo mi piace immaginare questo romanzo come una chiacchierata tra amici, perché mi ha dato quelle sensazioni favorite dal lessico informale, tanto che in certi passi avevo in mente chi mi avrebbe potuto rivolgere quelle frasi e con chi avrei voluto fare altrettanto.
Cosa significa scoprirsi fragili? Cos’è davvero la fragilità nascosta in ognuno di noi?
Ho pensato spesso che o una persona sceglie volontariamente di interrogarsi, o sono rari i momenti in cui possiamo far emergere questa fragilità. Non è un caso che in tanti preferiscano non sfiorarla nemmeno di striscio, salvo poi scontrarvicisi all’improvviso. Si vive meglio quando si sa di meno, le pecore del pastore errante dell’Asia non hanno di ché preoccuparsi se non mangiare, dormire e riprodursi. E purtroppo lo stesso fanno tanti esseri umani.
Passiamo molto poco tempo a chiederci chi siamo, a sfidare il nostro cervello sulle cose del mondo, siamo incapaci di prestare attenzione perché ciò significa inevitabilmente uscirne un po’ sofferenti. Ci fermiamo prima, sullo zerbino della superficie, raramente suoniamo il campanello e ancora meno volte permettiamo ad altri di avvicinarvisi.
Ma quante domande affollano i nostri pensieri, quando siamo soli, o passeggiamo e ci fermiamo a fissare il cielo stupiti dalla sua immensa bellezza non trovando un senso alla nostra vita?
Ci sono un paio di versetti di una canzone degli American Authors, Deep Water, che recitano così: “ma non posso trovare uno scopo / quando non so quale sia il mio valore” . Trovo queste parole efficaci e riassuntive del messaggio veicolato da D’Avenia.
Non possiamo muoverci se non impariamo a conoscerci e a riconoscere talenti e punti di debolezza.
Per farlo dobbiamo imparare a fermarci e regalarci il silenzio.
“Nessuno conosce la propria profondità se non scende uno a uno i gradini del silenzio, per trovarsi faccia a faccia con se stesso, senza maschere, finzioni, menzogne, dove si annida la verità più nuda”
Capitolo dopo capitolo, scremando un pochino la retorica della scrittura di D’Avenia, ci troviamo di fronte i grandi personaggi leopardiani, le voci parlanti della sua poesia in cui si può intravedere la sfumatura del riflesso di ognuno di noi.
Annoiati, felici, arrabbiati, ambiziosi, tristi o soli.
Siamo tutti alla ricerca di un infinito che non possiamo toccare, malinconici del passato per la sua condizione di tempo che nel ricordo sembra più felice, islandesi che scappano dalle sventure della natura fino a ritrovarsela di fronte, individui in bilico tra vita e morte, persone alla ricerca di affetto, rispetto, amicizia, e infine pastori erranti sulla strada che abbiamo deciso di intraprendere.
Diventare grandi è uno dei mestieri più complessi da affrontare perché ci si sente in balia di tutto, mai completamente stabili. Si fa palese una realtà che spesso non è come ce l’eravamo immaginata. Siamo proiettati nel disincantato mondo degli adulti senza un valido libretto delle istruzioni che ci insegni come procedere.
Se accetterete il mio consiglio e presterete fede alle mie parole, L’arte di essere fragili può essere un punto di partenza, un piccolo manuale per chi ha voglia di parlarsi e imparare a osservare il mondo attraverso se stesso.
“Senti la vita della ginestra perché è la tua, e forse quella di tutti gli uomini che trovano il coraggio di non nascondere la loro condizione dietro corazze più o meno spesse. Anche tu non hai rinunciato a creare bellezza in mezzo al deserto, dalle tenebre. Portavi la luce di chi fa una cosa bella anche se rimane ignota al mondo, perchè quel segreto può bastare a dare pienezza e felicità. ”

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