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The Wilds: di naufragi e socialità

  • Immagine del redattore: Cecilia Costa
    Cecilia Costa
  • 27 dic 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 22 gen 2021

Alla famosa domanda, che cosa porteresti se ti ritrovassi su un’isola deserta, siamo messi in crisi. Non è una scelta semplice e casuale, viene spontaneo prenderci qualche secondo per pensare.


È altresì interessante studiare come, in situazioni di estrema emergenza, si rinunci a una parte di sé per evidenziarne altre. Quasi solo nella catastrofe si fa strada la capacità di sentire e sentirsi. Nel piccolo, durante il lockdown si è intensificata l’attenzione sui nostri stati d’animo, su ciò che abbiamo dentro.

Ci si apre, con riluttanza si accetta ciò che siamo, si rivalutano le proprie scelte e si costruiscono legami che nascono già più forti di quelli comuni. In The Wilds, l’aspetto sociale è il fulcro della narrazione, la base da cui partire per esplorare tutta una serie di aspetti legati alla psicologia umana e al suo spirito di adattamento.

Il pericolo fa aggrappare alla vita anche il cuore più insicuro. La sopravvivenza è una spinta umana molto forte, la più antica e naturale, capace di annullare tutto il resto.

Si spezzano costrutti sociali, si perdono o affievoliscono credenze e abitudini, si va nella direzione di una nuova tribù.


La costruzione di un riparo, il razionamento delle provviste, la disperata ricerca di un appiglio, spingono la cooperazione tra persone diversissime come sono le protagoniste di questa avventura. Otto ragazze che a vederle ricalcano i classici ruoli, forse un po’ stereotipati, tipici delle narrazioni contemporanee.

Apprezzo sempre quando queste posizioni che sembrano date come definitive vengono stravolte nella direzione di una ricerca interiore. Sono persone diverse all’esterno, ma molto molto simili in quello che vogliono e sperano.

Naufraghe su un’isola deserta, per un modo o per un altro, lo erano già nella vita.

La vera tempesta le ha solo ridimensionate e ha fatto comprendere loro che il desiderio di svolta si può afferrare e conquistare con le proprie forze.


Le emergenze fanno prevalere i bisogni primari non solo fisici ma anche interiori: si intensificano i dubbi e le insicurezze, riemergono vecchi traumi e affari non risolti. Tutto questo ci ricorda quanto sia importante dedicare alle nostre questioni personali il giusto tempo, prima che questo ci sbatta in faccia la sua potenza menefreghista.


Ecco che esistiamo ma in funzione di altri, non ci bastiamo, da soli siamo prede facili e il bosco è per natura inospitale.


Dalle situazioni di emergenza nasce il bisogno di una comunità cui affidarsi, le differenze caratteriali e di background, che inizialmente continuano a essere forti, con il tempo sfumano. Si ha bisogno di qualcuno che ci protegga e consoli. Un branco con cui sia meno difficile e insidioso affrontare la vita.

Questo è l’aspetto di The Wilds che mi ha colpito di più.


Scegliere di riprorre il tema del naufragio, seppure sotto una luce nuova, poteva essere un punto dolente, come il rischio di banalizzare la storia a un melodramma adolescenziale dalle tinte catastrofiche. Tuttavia credo sia stato fatto un buon lavoro per fondere in egual parte le varie componenti e dare una chiave di lettura diversa.


La suspense, la scelta di alternare il punto di vista e il narratore principale, la narrazione svincolata da un’unica dimensione temporale, fanno sì che lo spettatore sia portato a continuare la visione per scoprire cosa c’è sotto, soprattutto quando si delinea il sub-plot secondario.


Alla trama stile Lost, si incastra una cornice narrativa tipica del reality, un Trueman show dai toni dell’esperimento sociale che vuole analizzare la possibilità di una costruzione sociale interamente femminile. Il tutto permeato da una nota molto dark resa evidente anche dalla scelta dell’illuminazione della narrazione nel presente, colori cupi e poca luce, e dalle inquadrature soggettive che permettono di immedesimarsi nello sguardo di un personaggio in particolare.


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